O sia che diviso non resti
da te, per le nubi dei giorni
e le deformi
stagioni, che cupe
corsero i cieli, per rivi
di pioggia crescenti
a divenire torrenti, onda
ai privati diluvi. O la lunga
siccità degl'urbani deserti
lo stillicidio, penoso
delle ore scandite
il declino dei passi
in solitudine, o l'abitudine
che non s'avvede del male.
O questo refe fragile
che cuce, inabile, le falle
d'un tempo lacerato e lo segue
come un cane che fiuta
segugio su tracce remote,
e da quei segni labili
difforma... O sia
che diviso non resti da te
per il filo
dell'ombra che scorcia il chiarore
per l'atto che più
non compete, per tutte le mete
mancate.
Ossia che da te resti diviso
alla mente, che a tratti s'abbuia
per la parola, cercata, che non viene
per una rima che non torna più
per tutte le mani
che ci spingono giù.