Si perdono lievi gli abbracci
come foglie appassite nelle stanche ore
del mio presente tramonto.
E i baci, lievi come ali di passeri,
sono teneri soffici cumuli
nel cielo di quei tempi felici
in cui tu mi amavi e io ti amavo,
nulla sapendo allora, in quei pochi giorni dorati,
di quanto i nostri preziosi momenti
sarebbero stati in futuro vuote memorie
o densi attimi da ripetere ancora.
Nella piccola chiara stanza di allora
nella modesta casa della vecchia signora
con la mal chiusa azzurra finestra
sul grigio sfumato del lago in inverno
o sotto le fronde invernali di un albero
che ormai non più segna i passi
di quello strano sentiero che insieme ci vide
in un unico abbraccio fra paura e speranza,
così guardavamo al destino.
E forse nemmeno allora esisteva
quel Tempo, quell’albero, quella stretta strada gelata
se non nei nostri pallidi sogni.
Nessuno più si bacia nell’alcova di quella neve
che più non esiste, soffiata, disciolta, dispersa
dai giorni che si sono poi rincorsi di fretta.
E io, come allora, ti sto
domandando:
“Ma dove sono andate le nevi di un tempo?
E dove sono finiti i tuoi baci? E quel rifugio dove entrammo ridendo?
E quelle persone che ancor mi ricordo esser state
nel caldo salone vicino al camino e avere sfiorato
il nostro destino per pochi di vita frammenti?”
Mi puoi rispondere forse se più non ti posso
toccare? Né stringere e soffiare segreti d’amore
sul collo, fra la pelle e il maglione che sapeva
di cose buone e pulite, di maschio e di fumo,
di tè al bergamotto, di cioccolato e di rum.
Ma le mani ormai non trovano posto
nelle tasche del tuo lungo scuro mantello.
O nell’eskimo verde con la vecchia pelliccia
che diventava coperta nei lunghi viaggi
nei poco riscaldati vagoni
di quell’ allegro coraggioso treno
che saliva le Alpi verso la vita e la gioia.
Tutte le chiare primavere che io, senza te, ho attraversato
in questi lunghi nuovi anni sembravano aver cancellato,
distrutto, azzerato le pagine del nostro passato.
Dimenticati i tuoi grigi conigli nelle gabbie ora vuote
e la soffitta gialla che sapeva di mele essiccate,
la capanna nel bosco e quel buffo Babbo Natale,
comparso d’incanto fra aghi di pino e soffi di vento,
fantasma dei luoghi o un giovane papà zurighese
che portava ai suoi bimbi un
piccolo abete?
Cancellato, svanito, distrutto dai miei inverni
che arrivarono poi, lenti e pieni di nuove e sane allegrezze
ma senza il piccolo treno rosso con il suo fischio allegro
e le tortine al formaggio come caldo conforto
per il lungo ritorno verso la città
pensando alle ore trascorse con te
fra parole, carezze, risate, eccitazione e sonno.
E i nostri baci nel gelido vento del Tempo,
come promesse mai mantenute,
sono via trascorsi …
Come amore abortito, come dita di ghiaccio
sulla fronte nelle notti di pianto
di chi non amava abbastanza o troppo aveva già amato.
Ma le ore del giorno nella calda estate della mia vita
hanno portato un nuovo amore e
pienezza dei giorni
vissuti con intensa passione in
momenti
ardenti in dolci primavere e
torride estati.
E il sapido gusto delle ore
d’autunno
ha trasformato nella memoria le
dita intrecciate
e il chiaro di luna sui campi
innevati
di quella che a noi sembrava
Engadina
ma era il castello incantato
della malvagia regina
che i suoi amanti faceva diventare
di ghiaccio.
E una foto un po’ increspata dorme in una stanza
abbandonata con altri ricordi e gioie e fiori seccati.
Ma se rammento quei tempi di giovane amore
è perché non tutto è perduto e forse
ti porto ancora con me dentro al corpo
che tu hai amato. Esiste una parte di me
che ancora rammenta il dolore come un arto ferito.
Ricorda il vento del Tempo e sente il freddo e la neve.